Timotheus,cononis filius, athenis vixit et patrie gloriam multis naturae bonis auxit,quia disertus,impiger,laboriosus,militiae pertus et rei publicae deditus fuit.Multa timothei praeclara facta et maxime eximia sunt.Olynthios et Bysantios bello subegit, Samum cepit et sine ulla pubblica impensa populo restituit; adversus Cotum bella gessit et plurima talenta praedae in publicum reddidit.Cyzicum post asperam pugnam liberavit.Ariobarzani,Persarum satrapae, simul *** Agesilao Lacedaemonio auxilium dedit; in hoc bello Lacedaemonius multam pecuniam accepit,Timotheus Nullam,quoniam Athenarum incolis agrum atque oppida sumpsit.Itaque accepit Crithoten et Sestum.
TRADUZIONE
Timoteo, figlio di Conone, visse ad Atene ed accrebbe con molte qualità del carattere la gloria della patria, perché fu accorto, sollecito, operoso, esperto di servizio militare (qui si legge mi... pertus, dovrebbe essere militiae expertus, invece) e dedito allo stato. Molte azioni di Timoteo sono gloriose e massimamente staordinarie. Sottomise con una guerra gli abitanti di Olinto e Bisanzio, conquistò Samo e senza alcun sacrificio economico per lo stato (lett. senza alcuna spesa pubblica) (la) ricostruì per il popolo; fece delle guerre contro Coto e consegnò all'erario (allo Stato) moltissimi talenti del bottino. Liberò dopo un 'aspra battaglia Cizico. Insieme con lo spartano Agesilao diede aiuto ad Ariobarzane, satrapo dei Persiani; in questa guerra lo spartano ricevette molto denaro, Timoteo nulla, poiché prese il campo e le città ai contadini degli Ateniesi. Perciò prese Critote (non ho trovato la trad sul voc ma penso vada bene) e Sesto.
mercoledì 3 settembre 2008
Pausania, uomo valoroso ma superbo.
Pausanias Lacedaemonius magnus homo, sed varius in omni genere vitae fuit: nam ut virtutibus eluxit, sic vitiis est obrutus. Huius illustrissimum est proelium apud Plataeas. Namque illo duce Mardonius, satrapes regius, natione Medus, regis gener, in primis omnium Persarum et manu fortis et consilii plenus, *** ducentis milibus (duecentomila+gen) peditum, quos viritim legerat, et viginti milibus (ventimila+gen) equitum, haud ita magna manu Graeciae fugatus est, eoque cecidit proelio. Qua victoria elatus, plurima miscere coepit(cominciò; il sogg è pausania) et maiora concupiscere. Sed primum in eo est reprehensus, quod ex praeda tripodem aureum Delphis posuisset epigrammate inscripto, in quo haec erat sententia: suo ductu barbaros apud Plataeas esse deletos eiusque victoriae (gen. retto da ergo) ergo (prep) Apollini donum dedisse. Hos versus Lacedaemonii exsculpserunt neque aliud (nè altro) scripserunt quam earum civitatum, quarum auxilio Persae erant victi.
TRADUZIONE
Pausania, Spartano, fu uomo grande, ma mutevole in ogni circostanza della vita: come risplendette per le virtù, così fu oscurato dai vizi. La sua impresa più gloriosa fu la battaglia di Platea 2 sotto il suo comando, Mardonio satrapo regio, Medo di origine, genero del re, fra i più illustri dei Persiani valoroso nell'armi e pieno di saggezza, con duecentomila mila fanti che aveva scelto uno per uno e ventimila cavalieri, fu messo in fuga da una piccola schiera di Greci e nella battaglia cadde lo stesso condottiero. Imbaldanzito da questa vittoria cominciò ad ordire tanti intrighi e ad aspirare a cose più grandi. 3 Ma dapprima fu biasimato per aver fatto porre a Delfi un tripode d'oro, ricavato dal bottino, con sopra un epigramma di cui questo era il tenore: sotto la sua guida i barbari a Platea erano stati annientati e per questa vittoria aveva offerto il dono ad Apollo. 4 Gli Spartani cancellarono questi versi e non vi ci scrissero altro che i nomi di quelle città, con l'aiuto delle quali i Persiani erano stati vinti.
TRADUZIONE
Pausania, Spartano, fu uomo grande, ma mutevole in ogni circostanza della vita: come risplendette per le virtù, così fu oscurato dai vizi. La sua impresa più gloriosa fu la battaglia di Platea 2 sotto il suo comando, Mardonio satrapo regio, Medo di origine, genero del re, fra i più illustri dei Persiani valoroso nell'armi e pieno di saggezza, con duecentomila mila fanti che aveva scelto uno per uno e ventimila cavalieri, fu messo in fuga da una piccola schiera di Greci e nella battaglia cadde lo stesso condottiero. Imbaldanzito da questa vittoria cominciò ad ordire tanti intrighi e ad aspirare a cose più grandi. 3 Ma dapprima fu biasimato per aver fatto porre a Delfi un tripode d'oro, ricavato dal bottino, con sopra un epigramma di cui questo era il tenore: sotto la sua guida i barbari a Platea erano stati annientati e per questa vittoria aveva offerto il dono ad Apollo. 4 Gli Spartani cancellarono questi versi e non vi ci scrissero altro che i nomi di quelle città, con l'aiuto delle quali i Persiani erano stati vinti.
Al lupo, al lupo!
Puer armentarius agnos capellasque in prato custodit. Per iocum clamat: “Ecce lupus! Accurrite, viri! Miserum puerum adiuvate! Agnos capellasque servate!”. Agricolae pavidi accurrunt, sed nullum lupum vident: tum puer credulos agricolas deridet. Sed paulo post duo lupi vere in pratum perveniunt: armentarium terrent atque alter agnos, alter capellas devorat. Tum puer iterum clamat: “Accurrite, viri! Miserum puerum adiuvate! Agnos capellasque servate!”. Sed frusta, quia agricolae, antea decepti, nullum auxilium puero praebent. Nam stulti pueri verba falsa et iocosa existimant.
TRADUZIONE
Un fanciullo addetto al gregge custodisce in un prato gli agnelli e le caprette. Per gioco esclama:"Ecco il lupo! Accorrete, o uomini! Portate aiuto ad un povero fanciullo! Salvate gli agnelli e le caprette!" Accorrono degli agricoltori impauriti, ma non vedono nessun lupo: allora il fanciullo deride gli agricoltori creduloni. Ma poco dopo due lupi giungono veramente nel campo: atterriscono il pastorello e uno divora gli agnelli e l'altro le caprette. Allora il fanciullo per la seconda volta esclama:"Accorrete, o uomini! Portate aiuto a un povero fanciullo! Salvate gli agnelli e le caprette!" Ma inutilmente, poichè gli agricoltori, prima accorsi, non offrono alcun aiuto al ragazzo. Infatti ritengono false e scherzose le parole dello stolto ragazzo.
TRADUZIONE
Un fanciullo addetto al gregge custodisce in un prato gli agnelli e le caprette. Per gioco esclama:"Ecco il lupo! Accorrete, o uomini! Portate aiuto ad un povero fanciullo! Salvate gli agnelli e le caprette!" Accorrono degli agricoltori impauriti, ma non vedono nessun lupo: allora il fanciullo deride gli agricoltori creduloni. Ma poco dopo due lupi giungono veramente nel campo: atterriscono il pastorello e uno divora gli agnelli e l'altro le caprette. Allora il fanciullo per la seconda volta esclama:"Accorrete, o uomini! Portate aiuto a un povero fanciullo! Salvate gli agnelli e le caprette!" Ma inutilmente, poichè gli agricoltori, prima accorsi, non offrono alcun aiuto al ragazzo. Infatti ritengono false e scherzose le parole dello stolto ragazzo.
De platonis modestia
Tradunt philosophum Platonem,cum Elidem petisset ad ludos, qui Olimpiae habebantur, in tentorio per aliquot dies dormivisse cum hominibus, quos non noverat quibusque rursus (a sua volta) igmotus ipse erat. Non tamen Platonem puduit eorum societatis neque eis taedium attulit eruditis sermonibus, sed omnium benevolentiam affabilitate et comitate sibi adiunxit. Quam ob rem illi magnopere eius societate delectabantur. Nec tamen de philosophie studio umquam mentionem fecit, neque eos de nomine suo certiores fecit, cum vellet eos celare quis ipse esset. Cum autem, post ludorum finem, Athenas cum suis contubernalibus redisset, ad his rogatus est ut eos ad Achademiam suceret ostenderetque illum Platonem quem omnes maximus philosophorum existimarent (stimavano). Tunc Plato, leniter subridens : <>. Id cum mirati essent, vegementer eos paenituit se diu vixisse in eodem tabernaculo cum tanto homine, neque umquam ex eo quaesivisse quis esset.
TRADUZIONE
Narrano che il filosofo Platone, essendosi recato ad Olimpia per i giochi, che erano ritenuti in tutta la Grecia con grande fama, avesse dormito per alcuni giorni in una tenda con uomini, che non conosceva e ai quali lui era sconosciuto. Tuttavia non si vergognò della loro compagnia, né arrecò loro fastidio con discorsi raffinati e non ebbe avversione per le loro menti ignare, ma si procurò la devozione di tutti con affabilità e cortesia. E perciò quelli goderono molto della sua compagnia. Tuttavia non fece alcun accenno a proposito del suo maestro Socrate o riguardo la filosofia, e non li informò sul suo nome, perché voleva nascondere loro chi egli fosse. Ma, dopo la fine dei giochi, essendo tornato ad Atene con i suoi compagni di tenda, gli chiesero di condurli nell'accademia e di mostrargli quel famoso Platone, che tutti consideravano il più grande filosofo. Allora egli sorridendo dolcemente, disse: "Sono io Platone". Dopo essersi meravigliati di questa cosa, si pentirono molto di essere stati a lungo nella stessa tenda con un tale uomo e che nessuno gli avesse chiesto chi fosse.
TRADUZIONE
Narrano che il filosofo Platone, essendosi recato ad Olimpia per i giochi, che erano ritenuti in tutta la Grecia con grande fama, avesse dormito per alcuni giorni in una tenda con uomini, che non conosceva e ai quali lui era sconosciuto. Tuttavia non si vergognò della loro compagnia, né arrecò loro fastidio con discorsi raffinati e non ebbe avversione per le loro menti ignare, ma si procurò la devozione di tutti con affabilità e cortesia. E perciò quelli goderono molto della sua compagnia. Tuttavia non fece alcun accenno a proposito del suo maestro Socrate o riguardo la filosofia, e non li informò sul suo nome, perché voleva nascondere loro chi egli fosse. Ma, dopo la fine dei giochi, essendo tornato ad Atene con i suoi compagni di tenda, gli chiesero di condurli nell'accademia e di mostrargli quel famoso Platone, che tutti consideravano il più grande filosofo. Allora egli sorridendo dolcemente, disse: "Sono io Platone". Dopo essersi meravigliati di questa cosa, si pentirono molto di essere stati a lungo nella stessa tenda con un tale uomo e che nessuno gli avesse chiesto chi fosse.
DE PUERO IMPROBO
In Hispania olim vivebat Nero, puer improbus. Forte era vicino in horto arbor magna maturis pomis onusta. Ubi puer arborem videt, magna cupido praedae animum occupat. “num dominibus me videbit?” inquit puer avidus ; « cur arborem non statim ascendo ? ». itaque sine mora ramum prehendit et in arborem se trahit. Iam inter poma sedet; iam dextra fruges tente gratas. At subito raucum clamorem audit. Ecce sub arbore magnum saevumque canem videt. Frustra Nero se celat, nam canis furem sentit impletque agros clamore rauco. Denìque sub arbore iacet exspectatque puerum. Diu in alta sede manet puer ; interea multa et callida consilia in animo volvit: “Nonne custos saevus mox dormite? Nonne caligo noctis me liberabit?”. Denique, quod canis praesidium non relinquit, de salute desperat. At fortuna captivum iuvat. Taurus niger agrum intrat; statim canem videt et torva fronte antiquum inimicum petit. Nec pugnam canis recusat, sed dentibus saevis modo tergum modo tauri frontem tentat. Tum puer occasionem non pratermittit, at ex arbore desilit petitque fugam. Adversarii nec fugam sentiunt nec pugnam relinquunt. Itaque Nero a tanto periculo tutus pro salute dis agit gratias.
TRADUZIONE
Viveva una volta in Spagna Nerone, ragazzo discolo. Per caso c'era nell' orto vicino un albero carico di molti frutti maturi. Appena il ragazzo vede l'albero, un gran desiderio di rubare gli prende l' animo. "Ora i padroni non mi vedranno?" disse il ragazzo goloso; "perché non salgo subito sull' albero?" E così senza por tempo in mezzo afferra un ramo e si issa sull'albero. Già è seduto fra i frutti; già la mano destra tende al gradevole cibo. Ma all' improvviso ode un suono rauco. Ecco che vede sotto l'albero un cane grande e feroce. Invano Nerone si nasconde, ma il cane sente il ladro e riempie i campi con un grande abbaiamento. E così il ragazzo giace sotto [la chioma] dell'albero e aspetta. A lungo rimane il ragazzo sull'alto sedile; nel frattempo rigira nell' animo molti astuti pensieri: "Non si addormenterà alla fine il cattivone? Non mi libererà il buio della notte?" Alla fine, poiché il cane non molla la guardia, dispera di salvarsi. Ma la sorte aiuta il prigioniero. Un toro nero entra nel campo; subito vede il cane e con la torva fronte attacca l' antico nemico. Né il cane rifiuta il combattimento e azzanna con i denti feroci ora le terga ora il davanti del toro. Allora il ragazzo non si lascia sfuggire l'occasione, scende dall' albero e tenta la fuga. Gli avversari non si accorgono della fuga e non smettono di combattere. E così Nerone al sicuro da un pericolo così grande ringrazia gli dei per la salvezza.
TRADUZIONE
Viveva una volta in Spagna Nerone, ragazzo discolo. Per caso c'era nell' orto vicino un albero carico di molti frutti maturi. Appena il ragazzo vede l'albero, un gran desiderio di rubare gli prende l' animo. "Ora i padroni non mi vedranno?" disse il ragazzo goloso; "perché non salgo subito sull' albero?" E così senza por tempo in mezzo afferra un ramo e si issa sull'albero. Già è seduto fra i frutti; già la mano destra tende al gradevole cibo. Ma all' improvviso ode un suono rauco. Ecco che vede sotto l'albero un cane grande e feroce. Invano Nerone si nasconde, ma il cane sente il ladro e riempie i campi con un grande abbaiamento. E così il ragazzo giace sotto [la chioma] dell'albero e aspetta. A lungo rimane il ragazzo sull'alto sedile; nel frattempo rigira nell' animo molti astuti pensieri: "Non si addormenterà alla fine il cattivone? Non mi libererà il buio della notte?" Alla fine, poiché il cane non molla la guardia, dispera di salvarsi. Ma la sorte aiuta il prigioniero. Un toro nero entra nel campo; subito vede il cane e con la torva fronte attacca l' antico nemico. Né il cane rifiuta il combattimento e azzanna con i denti feroci ora le terga ora il davanti del toro. Allora il ragazzo non si lascia sfuggire l'occasione, scende dall' albero e tenta la fuga. Gli avversari non si accorgono della fuga e non smettono di combattere. E così Nerone al sicuro da un pericolo così grande ringrazia gli dei per la salvezza.
La vera felicità
Cum Gyges,Lydiae rex,armis et divitiis inflatus animo,Apollinem Pythium sciscitatum venisset an aliquis mortalium se esset felicior,deus,ex abdito sacrarii specu voce missa,dixit Aglaum Psophidium feliciorem esse.Is erat Arcadum pauperrimus ,aetate iam senior;terminos agelli sui numquam excesserat,parvuli ruris fructibus contentus.Profecto sagacitate oraculi Apollo summam felicitatem vitae indicavit.Quare regi,fulgore fortunae suae superbo,respondit se magis probare tugurium securum tranquillumque quam aulam tristem curis et sollicitudinibus. Nam paucae glebae pavoris expertes tutiores erant quam pinguissima Lydiae arva metu referta.Eodem modo tutela iugi boum facilior erat quam cura exercitus,armorum equitatusque,quae voracibus impensis onerosa erat ,et necessarium horreolum melius erat quam thesauros omnium insidiis et cupiditatibus expositos.Ita Gyges,dum concupiscit probationem vanae opinionis sui a deo habere,didicit ubinam solida et sincera felicitas esset.
TRADUZIONE
Quando una volta Gige, grande re della lidia, pieno di armi e ricchezze venne a Delfi per interrogare l'oracolo di Apollo su chi fosse più felice di lui, il dio dalla strettoia dello specchio sacrario, parlando, antepose Aglao Psofidio al re della lidia. Il povero Aglao era di Acras (cercalo) ma, raggiunta l'età, non uscì mai dai confini del suo campicello, felice per i frutti del suo piccolo campo. In vero Apollo subito mostrò come quello fosse arrivato alla fine della vita beata non adombrato dall'oscurità del (arculi). Così subito rispose il dio al re che rivendicava insolentemente lo splendore della ricchezza: Approvo la capanna sicura e lieta, e non la casa triste per gli affanni e le preoccupazioni, approvo la poca terra non i campi che portano terrore alla lidia; nè le armi o la cavalleria, oneroso di spese voraci, ma pochi buoi e cavalli, i sacrifici sono di grande utilità agli uomini che vivono tranquilli, che provvedono alla moglie e ai figli! Così Gige, mentre desiderava avere il dio come giudice della vana opinione apprese la vera, solida e sincera felicità.
TRADUZIONE
Quando una volta Gige, grande re della lidia, pieno di armi e ricchezze venne a Delfi per interrogare l'oracolo di Apollo su chi fosse più felice di lui, il dio dalla strettoia dello specchio sacrario, parlando, antepose Aglao Psofidio al re della lidia. Il povero Aglao era di Acras (cercalo) ma, raggiunta l'età, non uscì mai dai confini del suo campicello, felice per i frutti del suo piccolo campo. In vero Apollo subito mostrò come quello fosse arrivato alla fine della vita beata non adombrato dall'oscurità del (arculi). Così subito rispose il dio al re che rivendicava insolentemente lo splendore della ricchezza: Approvo la capanna sicura e lieta, e non la casa triste per gli affanni e le preoccupazioni, approvo la poca terra non i campi che portano terrore alla lidia; nè le armi o la cavalleria, oneroso di spese voraci, ma pochi buoi e cavalli, i sacrifici sono di grande utilità agli uomini che vivono tranquilli, che provvedono alla moglie e ai figli! Così Gige, mentre desiderava avere il dio come giudice della vana opinione apprese la vera, solida e sincera felicità.
Alla scoperta di libri sorprendenti - Gellio
Cum e Graecia in italiam reverteremus et brundisium perveniremus, egressique e la navigazione in terram in quella portoghese inclito ambularemus, fascio littorio librorum venalium expositos Vidimus: ego avide statim annuncio libros Pergo. erant autem isti omnes libri graeci mira****rum et fabularum pleni; res inauditae, incredulae erant; scriptores veteres non parvae auctoritatis, ipsa autem volumina ex diutino situ squalebant et habitu et aspectu taetro erant. ISTI erano autem omnes libro graeci obiettivo **** rum et fabularum pleni; res inauditae, erano incredulae; scriptores veteres non parvae auctoritatis, ipsa autem volumina ex diutino situ squalebant et habitu et aspectu taetro erano. accessi tamen et mira atque insperata vilitate laetus, libros plurimos aere pauco emi eosque omnes duabus proximis noctibus cursim legi. et accessi ma un obiettivo atque insperata vilitate laetus, libros plurimos Aere pauco emi eosque omnes duabus proximis noctibus cursim normative. carpsi exinde et notavi mirabilia, quia erant in illis libris scripta huiuscemodi: fabulosos scythas, sub ipsis septentrionibus aetatem agentes, hominum corporibus vesci eoque alimento vitam ducere; item esse homines sub eadem ragione caeli unum oculum in frontis medio habebantes; alios denique esse homines apud eandem caeli plagam singularis velocitatis, vestigia pedum habentes retroversa, non, ut ceterorum hominum, preospectantia potreste tradurla o se riuscite a trovarla in internet mi fareste un grandissimo favore..(io ho cercato su internet ma non l'ho trovata) carpsi exinde et notavi mirabilia, quia erano in illis libris scripta huiuscemodi: fabulosos scythas, sub ipsis septentrionibus aetatem agentes, Hominum corporibus vesci eoque alimento vitam ducere; voce esse homines sub eadem ragione caeli unum oculum in frontis medio habebantes; alios infine esse homines apud eandem caeli plagam singularis velocitatis, vestigia pedum habentes retroversa, non, ut ceterorum Hominum, preospectantia.
TRADUZIONE
Ritornando dalla Grecia in Italia e arrivati a Brindisi, sbarcato dalla neve, mentre passeggiavo per quel famoso porto che Quinto Ennio chiamò praepes (propizio) con un vocabolo un poco raro ma del tutto appropriato, vidi esposti in vendita dei fasci di libri. E subito avidamente mi precipitai ad esaminarli. Eran tutti libri greci pieni di racconti meravigliosi, di cose mai udite e da non credersi, di antichi scrittori non privi di autorità: Aristea di Proconneso, Isigono di Nicea, Ctesia e Onesicrito, Filostefano ed Egesia; i volumi stessi, per il lungo tempo trascorso in quel luogo, apparivano sporchi, in cattive condizioni e di brutto aspetto. Avvicinatomi comunque e richiesto il prezzo, invogliato dalla straordinaria e inattesa modicità, con pochi soldi comperai parecchi libri e ne scorsi tutto il contenuto nelle due successive notti. Leggendoli, trovai e annotai fatti meravigliosi, ignoti alla maggior parte dei nostri scrittori e che ho disseminati in quest'opera, affinché coloro che la leggeranno non ne siano del tutto ignari e anékoos (sprovveduti) quando udranno narrare fatti del genere.V'erano in quei libri narrazioni di questo genere: quei remotissimi Sciti, che vivono nell'estremo Settentrionale, si nutrono di carne umana, ne fanno pasti e sostanza di vita e son detti anthropophágoi (antropofagi); così pure vi sono in quelle latitudini uomini che hanno un solo occhio in mezzo alla fronte, chiamati Arimaspi, con l'aspetto che i poeti danno ai Ciclopi; in quelle stesse regioni vi sono altri uomini che corrono con una eccezionale velocità, avendo la pianta dei piedi rivolta all'indietro e non, come tutti gli esseri umani, in avanti; si dice e si ricorda ancora che in una estrema terra chiamata Albania nascono uomini che incanutiscono da bambini e hanno occhi che vedono meglio di notte che di giorno; infine si ha notizia e si ritiene che i Sauromati, che vivono assai al di là del fiume Boristene, si nutrano soltanto ogni due giorni, astenendosi dal cibo nel giorno intermedio.
TRADUZIONE
Ritornando dalla Grecia in Italia e arrivati a Brindisi, sbarcato dalla neve, mentre passeggiavo per quel famoso porto che Quinto Ennio chiamò praepes (propizio) con un vocabolo un poco raro ma del tutto appropriato, vidi esposti in vendita dei fasci di libri. E subito avidamente mi precipitai ad esaminarli. Eran tutti libri greci pieni di racconti meravigliosi, di cose mai udite e da non credersi, di antichi scrittori non privi di autorità: Aristea di Proconneso, Isigono di Nicea, Ctesia e Onesicrito, Filostefano ed Egesia; i volumi stessi, per il lungo tempo trascorso in quel luogo, apparivano sporchi, in cattive condizioni e di brutto aspetto. Avvicinatomi comunque e richiesto il prezzo, invogliato dalla straordinaria e inattesa modicità, con pochi soldi comperai parecchi libri e ne scorsi tutto il contenuto nelle due successive notti. Leggendoli, trovai e annotai fatti meravigliosi, ignoti alla maggior parte dei nostri scrittori e che ho disseminati in quest'opera, affinché coloro che la leggeranno non ne siano del tutto ignari e anékoos (sprovveduti) quando udranno narrare fatti del genere.V'erano in quei libri narrazioni di questo genere: quei remotissimi Sciti, che vivono nell'estremo Settentrionale, si nutrono di carne umana, ne fanno pasti e sostanza di vita e son detti anthropophágoi (antropofagi); così pure vi sono in quelle latitudini uomini che hanno un solo occhio in mezzo alla fronte, chiamati Arimaspi, con l'aspetto che i poeti danno ai Ciclopi; in quelle stesse regioni vi sono altri uomini che corrono con una eccezionale velocità, avendo la pianta dei piedi rivolta all'indietro e non, come tutti gli esseri umani, in avanti; si dice e si ricorda ancora che in una estrema terra chiamata Albania nascono uomini che incanutiscono da bambini e hanno occhi che vedono meglio di notte che di giorno; infine si ha notizia e si ritiene che i Sauromati, che vivono assai al di là del fiume Boristene, si nutrano soltanto ogni due giorni, astenendosi dal cibo nel giorno intermedio.
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